Venerdì 9 maggio sono stata a Roma per il Constructive Day 2025, dove si è parlato (molto e bene) di giornalismo costruttivo. E dove anch’io ho tenuto un intervento a proposito di un tema che, in quanto giornalista costruttiva, mi sta particolarmente a cuore. Ma andiamo con ordine. Cos’è il Costructive Day?
Il panorama del giornalismo costruttivo in Italia è, per fortuna, sempre più ricco. Fino a qualche anno fa, eravamo davvero in pochi a conoscere questa corrente e a cercare (faticosamente) di portarla avanti. Oggi siamo un po’di più. All’interno del panorama italiano, in ambito costruttivo gioca un ruolo fondamentale il Constructive Network, fondato sei anni fa da Assunta Corbo insieme ad altri colleghi. Il Constructive Network per certi aspetti ricorda l’esperienza francese di Réporters d’Espoirs, con la differenza che Réporters d’Espoirs ha iniziato a muovere i primi passi 22 anni fa, a Parigi, con un clamoroso riconoscimento da parte dell’UNESCO nel 2004.
Il Constructive Network indubbiamente è molto più giovane ma, come per Réporters d’Espoir rappresenta un’unione sinergica di giornalisti e professionisti della comunicazione attivi ognuno nel proprio ambito ma con una visione comune. Il Network conta, ad oggi, duecentosessanta adesioni. Che all’interno del panorama italiano non sono poche. Il Constructive Day – che si è tenuto a Roma, presso la sede di Palazzo Valentini – è stato una bella e interessante occasione per incontrarsi dal vivo. Con interventi di valore, tra cui – giusto per citare qualche nome – quelli Marco Merola (ideatore del webdoc ADAPTATION, in cui si raccontano progetti e storie di adattamento ai cambiamenti climatici), di Daniel Tarozzi (fondatore e direttore di Italia Che Cambia) e di Raffaele Lupoli, direttore di Economiacircolare.org. Non cito altri colleghi per amor di brevità, ma una menzione la merita senz’altro anche Marisandra Lizzi, autrice di Lettera a Jeff Bezos: dalle relazioni pubbliche alle relazioni umane. Come ho riscritto i principi di Amazon.
Tra i relatori della giornata, ci sono stata anch’io, con un intervento su un tema che – soprattutto nell’ultimo anno – è stato al centro delle mie riflessioni ovvero: la necessità, da parte di noi giornalisti costruttivi, di esercitare uno sguardo critico anche sulle soluzioni. C’è infatti una trappola, subdola e pericolosissima, in cui soprattutto noi – abituati a raccontare il problema dal punto di vista della soluzione – corriamo il rischio di cadere. La ricerca della “soluzione a tutti i costi” è infatti qualcosa che non funziona: che ci differenzia, sì, dal catastrofismo da cui vogliamo distinguerci, ma che allo stesso tempo rischia di trasformare il nostro lavoro da ricerca rigorosa a favoletta consolatoria. Le soluzioni (soluzioni valide ed efficaci, intendo) non esistono sempre. In certi casi sono work in progress. In altri casi, quelle che vengono presentate come soluzioni rappresentano solo uno specchietto per le allodole e un vero giornalista costruttivo dovrebbe smontarle anziché avvalorarle. Mi riferisco, per esempio, a molti aspetti della transizione energetica: il suo costo in termini di estrazione mineraria e di impatto ambientale indiretto, giusto per dirne una. In fondo, è lo stesso concetto di greenwashing che ci mostra come la ricerca di soluzioni debba essere costruita con inappuntabile rigore critico. Fare il pelo e il contropelo alle soluzioni e dubitare sempre: questo, secondo me, è un primo punto importante da cui dobbiamo partire.
C’è poi un secondo punto che ho voluto mettere in evidenza. La sesta W del giornalismo costruttivo è “what now?” ovvero: una volta analizzato il problema, cosa possiamo fare? La sesta W è l’elemento chiave del giornalismo costruttivo. Purché non venga presa come un dogma. Ci sono temi, per esempio, in cui – prima di accendere i riflettori sulle soluzioni – è fondamentale mantenere il focus sul problema. Analizzandolo con lucidità e anche enfatizzandolo in modo utile, se necessario. A questo proposito, ho parlato delle forme di “inquinamento Cenerentola”, quelle meno riconosciute, fra cui l’inquinamento luminoso. Su questo tema sto costruendo un progetto articolato, di cui parlerò prossimamente e che fa riferimento al mio sito The Light Side of the Night. L’inquinamento luminoso è un problema con la P maiuscola, che ha un forte impatto sull’ambiente, sulla salute e su altri aspetti nevralgici. Eppure, raramente l’inquinamento luminoso viene riconosciuto come un problema reale. Nella maggior parte dei casi, lo si declassa a fissazione di uno sparuto gruppo di astrofili. Ecco perché, in questo caso, come in altri casi, ritengo sia utile raccontare il problema aiutando i nostri lettori a percepirlo come tale, prima ancora di mettere in luce le soluzioni.
Personalmente, sto sempre più arrivando a una definizione del giornalismo costruttivo un po’meno centrata sulla ricerca delle soluzioni tout court e un po’più focalizzata su altri aspetti. Il giornalismo costruttivo come giornalismo “utile”, attento all’impatto della notizia e al legame – conseguente – fra informazione e azione. In fondo, sempre di giornalismo costruttivo si tratta.