Ed eccoci arrivati alla nota dolente. Quando dico che di lavoro faccio (anche) la ghostwriter, cala di norma un silenzio luttuoso e anche un po’ imbarazzato. Dopodiché, in certi casi scattano le condoglianze, a volte – invece – si fanno strada le domande più imbarazzanti. Che vanno da “Cos’è un ghostwriter? Uno scrittore di racconti horror?” a “Ma fare il ghostwriter non è un po’ come dare l’utero in affitto?” (giuro: mi è stato chiesto).
Credo quindi che sia il caso di fare un po’ di chiarezza. Il ghostwriter non scrive (di solito) racconti di fantasmi e non lavora nemmeno travestito da spettro: è semplicemente uno scrittore-fantasma che mette la propria professionalità al servizio di un altro professionista. Il professionista in questione può essere Stephen King (no, non è il mio caso), un comico di successo o anche semplicemente un imprenditore che ha bisogno di pubblicare un libro su se stesso e sulla propria attività. Chiamasi, banalmente, personal branding. Ecco: io – come ghost – mi occupo fondamentalmente di questo e cerco di farlo nel modo più creativo possibile. Uscendo dal recinto obbligato del saggio per passare a un ritmo narrativo più accattivante: quello dello storytelling e in certi casi addirittura del romanzo o del racconto.
Cos’è un ghostwriter? Un terzista della scrittura. Una figura professionale che sarebbe utile ridefinire e liberare da parecchi luoghi comuni.