Alluvione in Emilia Romagna: avremmo potuto parlarne in modo diverso?

Nelle ultime settimane, la notizia dell’alluvione in Emilia Romagna ha ampiamente monopolizzato i palcoscenici mediatici. E il mondo dei social che – ormai – fa parte a tutti gli effetti del flusso informativo.

Sotto i nostri occhi sono state riversate a ciclo continuo storie di catastrofi personali e storie di eroi. Il pilota giapponese di Formula 1 che va a spalare fango insieme agli altri, la disperazione delle famiglie rimaste senza un tetto, la polemica su Bruce Springsteen che non parla dell’alluvione ecc. Insomma: la solita copertura fatta non per tanto per informare quanto per alimentare il voyeurismo del pubblico. Avremmo potuto – noi giornalisti – affrontare il tema in modo diverso, cioè più utile? La risposta è sì.

Punto primo: uscire dal mito dell’Eroe e dal mito della Vittima

“Felice è il popolo che non ha bisogno di eroi” scriveva Bertolt Brecht. Personalmente, sono più che d’accordo con lui  e mi viene di completare la frase aggiungendo: “Felice il popolo che non ha bisogno né di eroi né di vittime”. Lo dico da giornalista, ma anche – soprattutto – in quanto portavoce di una corrente, il giornalismo costruttivo, che è nato con l’obiettivo di uscire da questo tipo di narrazione.

Perché? Perché non serve. Chi ha qualche nozione di morfologia della fiaba, sa che le fiabe hanno bisogno di principi, orchi, principesse: di Vittime e di Eroi, ovvero di “ruoli”. La realtà, però, è diversa. Non è una fiaba e ha bisogno di essere raccontata in modo diverso. Partendo da un colpo d’occhio più ampio, ottenuto con grandangolo, che aiuti a calare ogni avvenimento all’interno di un trend. Perché solo così è possibile capire realmente come stanno le cose e passare, poi, alle domande successive: dove stiamo andando? Cosa possiamo fare per migliorare?

Un esempio: i morti per alluvione. Partire dai numeri

Qualche anno fa, in piena pandemia, i media gridavano alla catastrofe parlando dell’ecatombe scatenata in India e in Bangladesh dal ciclone Amphan. In realtà, il ciclone aveva fatto grandi distastri ma confrontando il numero dei morti (118) con le vittime provocate dai cicloni precedenti, la visione si ribalta: quello che emerge, cioè, è un miglioramente radicale innescato da cambiamenti virtuosi (nella gestione degli eventi estremi) che purtroppo non vengono mai raccontati.

Partendo da qui, possiamo tracciare una panoramica di segno diverso sulla situazione in Emilia Romagna, dove i morti sono stati 15. Un numero ben diverso dai 160 morti che un episodio simile ha provocato nel Sarno nel 1998, dai 318 morti dell’alluvione di Salerno del ’54 o dalle 80 vittime del Polesine, tre anni prima (giusto per citare qualche cifra). Perché? Perché stiamo imparando a gestire – e anticipare – le emergenze in modo migliore. Perché la nostra Protezione Civile ha un livello di preparazione che viene portato in palmo di mano anche in contesti internazionali.

E’da qui che bisogna partire per fare il passo successivo e per chiederci cosa avremmo potuto fare per evitare i 15 morti di Rimini. Creando un modello di gestione delle emergenze basato su esempi scalabili, che ci aiutino ad affrontare meglio questi episodi quando ricapiteranno in futuro.

Come? Adattando le città ai cambiamenti climatici in corso (ma anche a una fragilità idrogeologica che abbiamo sempre avuto) con il recupero della permeabilità del suolo attraverso sistemi di drenaggio sostenibile. Vedi il modello sponge city, nato in Cina e a cui, attualmente, guardano anche città come New York (o come Glasgow e Manchester, in Europa). Creando vasche sotterranee di raccolta delle acque negli spazi pubblici (come già si è fatto a Barcellona e a Rotterdam) ed evitando l’utilizzo dei piani interrati. Ripristinando le aree di esondazione naturale dei fiumi e supportando i corsi d’acqua con casse di espansione (se ne era già parlato per il fiume Misa, molto prima dell’ultima alluvione nelle Marche, ma nulla è stato fatto tra processi e pastoie burocratiche). Monitorando il divieto di edificazione in aree a rischio. Creando un sistema di messaggistica più efficace, che consenta una trasmissione più rapida e capillare delle allerte: lo si è fatto a Durban, in Sudafrica, mettendo a punto un’efficace piattaforma digitale di chat di gruppo.

La cattiva notizia è che molto deve ancora essere fatto. La buona notizia è che molto è già stato fatto e molto può essere fatto.

Ne ho parlato ieri su Teletruria.