Didattica a distanza tra problemi e soluzioni. Cos’è e come potrebbe cambiare la scuola italiana

didattica a distanza e coronavirus
Pierpaolo Amodeo insegna in una scuola media di Gaggio Montano, un piccolo comune appenninico del Bolognese. Dall’inizio del lockdown, così come i suoi colleghi di tutta Italia, Pierpaolo si confronta con una modalità di insegnamento nuova che sta ponendo sul piatto della bilancia cambiamenti, problemi ma anche esigenze e opportunità di trasformazione. Dal confronto con la tecnologia alle difficoltà strutturali delle zone con scarsa copertura di rete e delle famiglie che non hanno gli strumenti adeguati. Dal problema di trovare nuovi modi per stabilire una connessione emotiva con gli studenti all’esigenza di ripensare il sistema dei voti in termini diversi.

 

Con il passaggio (obbligato) all’online, la didattica è cambiata strutturalmente. Partiamo dai supporti: quali strumenti usi per fare lezione ai tuoi studenti?

Per le videolezioni, utilizzo la piattaforma Cisco Webex che è una delle tante che sono state messe a disposizione gratuitamente dalle aziende in questo momento. La parte centrale della didattica a distanza, però, si sviluppa sulla suite di Google, a cui avevamo accesso già prima dell’emergenza, e in particolare su Classroom, Meet ed Hangouts Di fatto c’è un’ampia scelta di piattaforme che ci permettono di fare videoconferenze e non solo di preparare, banalmente, materiale didattico.

 

Che atteggiamento ha avuto rispetto a queste opportunità, la maggior parte del corpo insegnante?

All’inizio ci sono state un po’ di difficoltà perché non eravamo prontissimi. Nei primi giorni si sono affermate due grandi linee di pensiero: la prima, quella di chi preparava materiali per i ragazzi, da studiare e affrontare da soli; c’è stato poi, invece, chi ha organizzato lezioni in diretta attraverso servizi di streaming on-line. Oggi, a quasi due mesi dall’inizio dell’emergenza, tutti noi siamo attrezzati non solo per fare lezioni online secondo un orario ormai definitivo, ma anche per costruire momenti di valutazione che si sviluppano su compiti a casa, interrogazioni e anche verifiche in diretta. Il problema più serio riguarda quelle materie che si basano su supporti diversi dai libri, come musica, arte ed educazione fisica. In questi casi, i colleghi hanno trovato modi diversi e complementari per affrontare i loro programmi didattici.

 

Da parte degli studenti, invece? Partecipano alle lezioni e li senti attivi o no?

Sì assolutamente, sono molto più bravi di molti insegnanti: molti di noi hanno la difficoltà di avere una generazione di troppo, cosa che non aiuta. Gli studenti invece sono più o meno tutti nativi digitali. I problemi che emergono dipendono principalmente dal fatto che spesso sono dei bravi utilizzatori ma non dei bravi conoscitori. C’è stato però un fattore importante di dispersione dovuto alla carenza di mezzi tecnologici, di connessioni ma anche di propensione dei singoli alunni. Ad oggi, se i primi due aspetti sono stati risolti attraverso un intervento diretto della scuola che ha fornito i supporti (computer in comodato d’uso e reti), il secondo è il vero enorme scoglio che mina nel profondo l’universalità della didattica a distanza. Io, personalmente, mi posso ritenere fortunato: la maggior parte dei miei studenti partecipa con assiduità anche se con il tempo è emerso un problema che non esiste nella scuola fisica: l’assenza in presenza.

 

In che senso?

In molte occasioni, almeno un paio di ragazzi per classe erano presenti solo virtualmente: quando venivano chiamati non rispondevano e mi hanno fatto capire che non stavano affatto seguendo la lezione. Devo segnalare, però, anche una forte componente di ragazzi che con la didattica a distanza si è dimostrata incredibilmente proattiva e prolifica: presente sempre a lezione, pronta a intervenire, consapevole del percorso e intenzionata a fare altro e di più. E non sempre questi ragazzi sono gli stessi che a scuola erano tra i più bravi: ora li sto vedendo tutti con occhi diversi perché sono altro, io, e sono altri, loro, in questa emergenza. In alcune zone d’Italia e in alcuni istituti, invece, so che la presenza online è seriamente minata dalle condizioni di fortissimo disagio socio-economico: questo implica un’enorme dispersione scolastica di ragazzi che non riescono a essere intercettati.

 

Hai avuto qualche feedback da colleghi che insegnano in zone in cui la connessione è limitata (o in cui i ragazzi hanno difficoltà ad avere dispositivi adeguati)?

No, non ho diretti contatti con altre scuole del territorio che sperimentano questi problemi. So di scuole che si sono attivate con molto ritardo per portare avanti la didattica a distanza e so di una scuola superiore in provincia di Bologna, un professionale, che sta sperimentando un grosso problema di dispersione scolastica da parte dei suoi alunni. Ma le informazioni che ho sono parziali e non posso dire altro.

 

Da insegnante, che limiti vedi nella didattica a distanza rispetto a quella dal vivo?

In realtà la scuola è fisicità, nel senso che c’è davvero bisogno dell’ “essere presenti”. Il corpo, e tutto ciò che non passa attraverso il linguaggio, sono essenziali. Dal contatto con gli studenti, al semplice sguardo, passando per la condivisione del medesimo spazio: non siamo più in grado di sapere se i nostri studenti ci stanno seguendo e se la nostra lezione sta funzionando. Non sappiamo più valutare la distanza fisica di cui gli studenti hanno bisogno e non possiamo mettere in atto le pratiche di prossimità che molti di loro richiedono. Riscontriamo quindi lo stesso limite che c’è in ogni relazione quando viene interrotta la possibilità di praticarla fisicamente.